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Hiei
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MessaggioInviato: 08 Giu. 2005, 12:32    Oggetto: Pagina di Economia Rispondi citando

Lasciamo la cronaca al suo topic e teniamo i temi economici in un posto specifico, così facciamo meno casino - dall'economia domestica a quella internazionale, apro un topic apposito.

Ancora sul dollaro:

Intervista all’economista Nino Galloni*
Marcello Pamio - www.disinformazione.it

D: Il 6 aprile del 2005, la Camera ha approvato una mozione per una Nuova Bretton Woods. Il sistema monetario deciso a Bretton Woods nel 1944 in pratica ha messo il dollaro come moneta principale a livello mondiale. Nessuno però di questa mozione ne ha parlato. Come mai? E cosa contiene?
R: La mozione ha l’obiettivo di recuperare la logica di incontro tra le varie realtà politiche del pianeta al fine di arrivare ad accordi di natura valutaria, monetaria di politica economica finalizzata allo sviluppo. Quindi, finanziare le grandi reti infrastrutturali, la ricerca ad altissimo livello e la promozione di tutte quelle realtà che oggi si trovano in una condizione di arretratezza, non tanto perché sia naturale che ciò avvenga, quanto perché le scelte di politica economica maturate dopo la dichiarazione di non convertibilità del dollaro da parte di Nixon nel 1971, quindi gli anni ’70, ’80 e ’90 hanno condannato questi paesi, questi popoli e queste realtà a subire una serie di svantaggi dal punto di vista delle relazioni economiche.
Ad esempio si parla molto dell’azzeramento del debito nei confronti dei paesi in via di sviluppo, però non si parla abbastanza dei meccanismi che l’hanno determinato, perché se anche questo debito si azzerasse, e poi non si intervenisse sui meccanismi che l’avevano determinato si ricostituirebbe senza nessun risultato utile.

D: In una recente dichiarazione pubblicata dall’Agenzia Parlamentare per gli Studi economici e politici lei ha detto che “lira, euro e valuta complementare non è questo il problema†ma semmai chi emette la moneta. Penso si riferisse al poco famoso Signoraggio. Ci può spiegare cos’è questo benedetto Signoraggio?
R: Il signoraggio è la differenza tra il valore facciale di una banconota e quello che è costato produrla. Il punto è che noi stiamo parlando di moneta che ha corso legale, cioè che noi siamo obbligati forzosamente ad accettare. Allora è chiaro che chi può emettere questa moneta ha un grandissimo potere: il potere di creare un valore, perché poi questa moneta deve essere accettata. La stessa cosa si può ottenere tra due persone che si emettano reciprocamente una promessa di pagamento di un qualche cosa se poi nel frattempo questa invenzione reciproca di valore trova conferma nell’ambito del circuito produttivo, perché con questa promessa di pagamento, nel caso delle banche si chiama credito, faranno seguito degli atti di natura economica, produttiva ecc. che generano reddito e consentono la restituzione della somma che stiamo parlando. La banconota, la moneta, si parla di signoraggio, perché c’è una autorità che emettendola si appropria di quella differenza tra il valore nominale e il costo di produzione. Ora se questa autorità è lo stato nazionale è chiaro che non è la stessa cosa delle singole persone che compongono la collettività, però se questo stato emette questa moneta per fare degli investimenti produttivi, c’è una logica, se invece di essere gli stati (come sappiamo nel caso europeo, che hanno rinunciato alla propria sovranità sia nei confronti delle banche centrali che nei confronti nella banca centrale europea), accade che la popolazione non ha più alcun vantaggio da questa grande invenzione dell’umanità che è la moneta.

D: Quindi se ho capito bene: la banca centrale stampa la moneta spendendo pochissimi spiccioli tra carta e inchiostri e la vende allo stato al valore nominale, cioè a quel numerino stampigliato sopra, giusto. Il signoraggio pertanto in termini economici è un guadagno impressionante. Che viene incassato dalle banche centrali che sono private…
R: Sì, praticamente le banche centrali, così come la banca europea, sono organismi privati…
L’idea del signoraggio precostituisce il diritto da parte dei cittadini di vedersi restituite queste somme. Ci sono della cause in corso in molti paesi, anche negli Stati Uniti, per ottenere questo rientro da parte dei cittadini stessi. Quella che è stata una mia battaglia storica, fin dagli anni ’80 da quando ero nel Ministero dell’Economia, riguardava la possibilità dello stato di mantenere il diritto a spendere quando si trattava di investimenti produttivi, di creare posti di lavoro, ecc., perché ciò che lo stato spendeva anche in disavanzo per quelle attività che ho citato, poi sarebbero rientrati, non erano soldi che andavano buttati all’aria. Nel momento in cui si ridusse questa possibilità, crebbero gli tassi di interesse, perché poi la domanda di moneta da parte dell’economia c’era, e si penalizzarono le imprese meno forti, i lavoratori, le famiglie. Oggi siamo in una situazione pericolosissima perché le famiglie per mantenere il proprio livello di consumi, si sono indebitate enormemente. Allora se il prodotto interno lordo, ciascun anno per molti anni, cresce di meno dei tassi di interesse, che pure sono bassi (ma sono più alti della crescita del Pil) è chiaro che nella media non c’è la possibilità di restituire questi prestiti, e allora che cosa succederà?

D: A me risulta però che la Banca centrale italiana è costituita da circa 12 banche private, quindi il signoraggio finisce nelle mani di privati investitori? Ma come viene permesso una simile cosa?
R: Queste votazioni sono state un messaggio chiarissimo da parte di questi due paesi, nel senso che la costituzione europea era un compromesso piuttosto alto e intelligente tra i bisogni della popolazione, quindi l’Europa dei popoli che non si è fatta, e quella dei banchieri, della finanza e dell’euro che si è fatta! Però questi popoli, francesi e olandesi, hanno detto chiaramente che a loro questo compromesso non sta bene. Che loro vogliono un’altra cosa. Quindi è un attacco chiaro all’Europa dei banchieri e della finanza. Questo però non significa che bisogna uscire dall’euro e abbattere l’euro, non necessariamente significa questo. Il problema è che anche a livello europeo proprio per andare dietro a quelli che sono gli interessi e i problemi della popolazione bisognerebbe che l’Europa potesse battere moneta per fare investimenti, costruire infrastrutture, creare lavoro, ecc. Questo è il punto: fare l’Europa dei popoli.
Quindi se dobbiamo intervenire sulla competitività dobbiamo fare in modo che i vari sistemi siano più compatibili, perché è chiaro che se ci sono dei paesi dove il costo del lavoro è bassissimo, non si sono le assicurazioni sanitarie, dove non c’è rispetto dell’ambiente, ecc. è chiaro che creiamo un discorso di concorrenza assolutamente insostenibile.

D: Ho sentito parlare di un 3° Polo indipendente che teoricamente dovrebbe presentarsi nel 2006 alle elezioni. Può dirci qualcosina di più?
R: Innanzitutto non dobbiamo confondere il Terzo Polo con il trasversalismo. Il trasversalismo è per esempio quello che sta dietro la mozione della Nuova Bretton Woods che abbiamo detto prima, consiste nel fatto di prendere idee e persone che stanno da una parte e dall’altra rispetto al centro sinistra e centrodestra e farli convenire su qualche cosa che si condivide. Questo è trasversalismo.
E’ una possibilità che ha la caratteristica di essere più culturale che politica. Il Terzo Polo è un progetto di fare una cosa che non sia né centrodestra né centrosinistra, perché si ritiene che sia il centrodestra che il centrosinistra tutto sommato, nell’ambito delle grandi scelte di politica economia non si distinguono granché, e non abbiamo brillato granché, se vuole la mia opinione di addetto ai lavori, perché essendo nella Pubblica Amministrazione ad alti livelli da tanti anni, ne ho visto di tutti i tipi e devo dire che purtroppo si è passati dal centrosinistra al centrodestra, dal punto di vista delle grandi scelte economiche, senza quasi accorgersene, e questo è negativo secondo me.
Il Terzo Polo è il tentativo di presentarsi agli elettori con un programma nuovo, diverso, con un programma alternativo, tanto alternativo da giustificare la nascita di una nuova coalizione. Ovviamente con l’attuale sistema maggioritario questo è molto difficile da proporre agli elettori…

D: Nel mondo ci sono oltre 5000 valute complementari. Secondo lei queste monete alternative sono valide oppure no?
R: La valuta complementare si può intendere in molti modi, se per esempio a livello locale 50, 60 o 100 aziende si accordano per accettarla nei loro scambi, se pur parzialmente, questo può consentire di far crescere le loro rendite e quindi la loro forza lavoro, perché chi spende moneta locale compra moneta locale, mentre chi spende la moneta internazionale compra prodotti internazionali. In certi tipi di comuni è chiaro che se vado a comprare la benzina, a fare il pieno di benzina, lo debbo fare in euro, però se vado a comprare un chilo di pane o un cassetta di pomodori prodotti localmente, posso pagare con la moneta locale (ovviamente se viene accettata).

D: Ci sono in Francia, Germania, Giappone, le risultano anche in Italia?
R: In Italia c’è stato l’esperimento del Prof. Auriti, ma quello era più una valuta alternativa. La valuta complementare è un qualche cosa che si affianca a quella ufficiale, non è che la sostituisce completamente. Serve per creare nuovi posti di lavoro e correggere i danni della cosiddetta globalizzazione.

D: Quello che è successo in Argentina?
R: In Argentina questa moneta popolare è stato l’unico rimedio vero nei confronti di una crisi economica istituzionale che sennò sarebbe stata irreversibile. Non sono state certo le ricette del Fondo Monetario Internazionale a tenere a galla l’’Argentina…

D: In qualità di economista onesto corretto e soprattutto senza peli nella lingua, qual è la sua ricetta per uscire da questa crisi economica?
R: La ricetta per uscire dalla crisi in generale è non confondere i vincoli con gli obiettivi! Nell’economia noi abbiamo dei vincoli, cioè uno non può fare un’impresa senza tener conto che dovrà vendere prodotti per un valore superiore ai costi che deve affrontare per produrre. Esistono vincoli anche nei bilanci pubblici, però non sono gli obiettivi.
Gli obiettivi sono nell’ambito dello sviluppo economico, nella protezione dell’ambiente, della salute della popolazione, della felicità della popolazione soprattutto dei giovani, ecc. Allora per questi obiettivi devo fare tutti gli sforzi possibili, non mi devo privare della flessibilità della manovra di politica economica e monetaria come si è fatto in questi anni, in nome di un dio euro. L’euro non è dio.
Se noi mettiamo sull’altare l’euro e pensiamo che l’altare sia sacro perché c’è sopra l’euro, sbagliamo: confondiamo il vincolo con l’obiettivo. Certamente non è che nell’economia siamo liberi di fare come ci pare, perché abbiamo tanti vincoli, ci sono delle leggi economiche da rispettare, però nell’ambito di questi vincoli è possibile fare in modo molto diverso rispetto a quello che si è fatto in questi anni. E questo ci potrà dare dei risultati migliori, che magari non significa la pienissima occupazione, o che stiamo tutti benissimo, però significa fare molto meglio di quello che è successo in questi venti-trent’anni

D: L’ultima domanda poi la lascio. Sento sempre più spesso parlare del crollo del dollaro USA a causa di una economia indebitata fino all’osso. Ecco perché ogni 2 anni devono fare una guerra. Le risulta una situazione allarmante del genere oppure no?
R: Arrivo subito alla risposta altrimenti dovrei fare dei discorsi di natura storico-economica molto lunghi. Se Cina, India e Russia, che sono i principali detentori di dollari, li buttassero sul mercato (per fare la cosa più razionale) per prendere una valuta più forte come l’euro, succederebbe una crisi di tali proporzioni che saremo costretti a cercare di risolvere i problemi con dei criteri e logiche che adesso sembrerebbero impensabili. Ci troveremo di fronte alla più grande crisi finanziaria e valutaria nella storia dell’umanità, quindi loro non lo possono fare: se li debbono tenere, e in cambio di questo cercano di avere dei vantaggi dagli Stati Uniti e nell’ambito del sistema, facendo un tira e molla sulla competitività, sulla vendita dei loro prodotti, e su altre cose.
Però è un sistema assolutamente instabile e non votato al successo, quello nel quale ci siamo venuti a trovare. Quindi sicuramente si dovrà arrivare o a nuova Bretton Woods o a un grande cambiamento di politica economica, o entrambi.

* Prof. Nino Galloni, economista tra i più affermati a livello nazionale, già Direttore del Ministero del Lavoro e presidente del Centro Studi Monetari


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MessaggioInviato: 08 Ago. 2005, 17:49    Oggetto: Rispondi citando

ALBA contro ALCA

di HARALD NEUBER

Venezuela e Cuba si alleano contro l’influenza degli Stati Uniti in America Latina.
Sembrava una delle solite messe in scena: Mentre gli Stati uniti da anni spingono per l’ "Area di Libero Commercio delle Americhe", i presidenti del Venezuela e di Cuba sono apparsi in pubblico il dicembre scorso ad Havana per presentare insieme un concetto contrapposto. Già al primo sguardo l’Alternativa Bolivariana per l’America appare come una risposta all’iniziativa statunitense. Infatti mentre quest’ultima è conosciuta nell’area ispanofona sotto l’acronimo ALCA (2), il progetto cubano-venezuelano si abbrevia con le lettere ALBA.



All’ inizio sembrava che l’idea si esaurisse con il gioco di parole. I capi di stato a malapena hanno compreso il passo avanti dei due presidenti critici nei confronti degli Stati Uniti. Però i primi di luglio Chavez ha indetto il "I Summit Energetico dei Capi di Stato dei Caraibi" nella città petrolifera Puerto La Cruz. Insieme al capo di stato cubano ha proposto ai 15 capi di stato e di governo dei Caraibi presenti un affare, che potrebbe essere valutato da Washington con grande preoccupazione.

Partendo da forniture di petrolio a prezzi ribassati gli stati della regione dovrebbero raggiungere una cooperazione economica più stretta. L’idea di fondo non è nuova: già nel Patto di San José i paesi petroliferi latinoamericani Venezuela e Messico nel 1980 si erano impegnati a rifornire i paesi del Centroamerica e quattro paesi caraibici con 160.000 barili di petrolio a condizioni vantaggiose. In un accordo ulteriore nell’ottobre del 2000 il Venezuela si è inoltre dichiarato disponibile a fornire altro petrolio a prezzo ridotto ai paesi caraibici e centroamericani nel corso dei prossimi 15 anni. Nell’incontro a Puerto La Cruz, Chavez ha quindi proposto la creazione di una società petrolifera regionale e statale. Ogni stato membro dovrebbe delegare un rappresentante al consiglio d’amministrazione della nuova società "Petrocaribe", ha detto Chavez. Un intento del genere per il Venezuela significa anche un’autoprotezione. Se la cooperazione regionale venisse istituzionalizzata con una società petrolifera, per gli Stati Uniti sarebbe decisamente più difficile riuscire a creare tensione tra il Venezuela e gli altri stati latinoamericani. Mentre in origine queste forniture di petrolio a prezzi ridotti nascevano per sostenere lo sviluppo dell’economia nella regione, Chavez e Castro vogliono ora renderle un motore per un “commercio solidale“. A medio termine la nuova alleanza dal nome ALBA-Caraibi dovrebbe sfociare in un accordo commerciale regionale.

Fidel Castro ha reso esplicito l’orientamento politico di questa nuova alleanza. Il nemico giurato di Washington ha richiamato all’unità degli stati latinoamericani. Con l’attacco all’Iraq, afferma Castro, si combatte per la prima volta una guerra per l’accesso alle risorse energetiche. Aggiunge che questo è il primo segnale di una “incombente crisi energetica globale“. Per i paesi in via di sviluppo diventa quindi indispensabile trovare un accordo anche al di là della regione latinoamericana. Castro ha accusato gli stati industrializzati di “commercio irresponsabileâ€, siccome la loro “politica dello spreco†fa scomparire le risorse energetiche. Castro e Chavez lavorano insieme da molti anni ad una nuova unione dei cosiddetti paesi del terzo mondo. Entrambi sono ispirati dall’esempio del Movimento dei Non-Alleati degli anni cinquanta. Così già nel 2000 hanno presieduto il summit del Gruppo dei 77 ad Havana. È da allora che alcune fondazioni politiche conservatrici americane (3) fanno presente che il Venezuela potrebbe „abusare politicamente“ delle sue riserve di petrolio.

E in realtà sembra che il capo di stato venezuelano stia passando all’offensiva. Intanto nella gran parte del continente sudamericano comunque sono al potere coalizioni di centro sinistra. Chavez mantiene stretti contatti con questi governi in Argentina, Uruguay, Brasile e Chile. Quando alla fine della prima settimana di luglio si sono incontrati i rappresentanti di 150 organizzazioni e partiti di sinistra al Forum di São Paulo (4), è stato chiaro il cambiamento dell’ atmosfera. Nella dichiarazione finale i partecipanti del forum si sono detti favorevoli allo sviluppo di accordi di libero commercio nella regione escludendo gli Stati Uniti. In base alla dichiarazione, che fa diretto riferimento all’iniziativa di Cuba e Venezuela, solo una nuova integrazione sud-sud sarebbe in grado di combattere efficacemente la povertà in America Latina. I rappresentati dei partiti della sinistra hanno approvato questa proposta e hanno dichiarato di essere disponibili allo svilippo di questa politica. Secondo Paulo Ferreira, segretario internazionale del Partito dei Lavoratori, è giá un successo che la tabella di marcia originale dell’accordo ALCA non potesse essere rispettata. In base ai piani di Washington la zona di libero commercio panamericana avrebbe dovuto già esistere dal gennaio di quest’anno.

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MessaggioInviato: 19 Dic. 2005, 23:23    Oggetto: Rispondi citando

Duri e Puri: aprite gli occhi
di Eugenio Benetazzo - autore di "Duri e Puri: aspettando un nuovo 1929"

Potete ormai fidarvi del sistema bancario ?
Potete credere nelle promesse ed aspettative che vi trasmettono ?
Chi vi assicura che quello che vi consigliano agli sportelli faccia veramente i vostri interessi ?

Il sistema capitalistico italiano, ormai un capitalismo senza capitali, un fragile castello di carte tenuto in piedi da prestiti obbligazionari e debiti con il mercato è strettamente collegato e contiguo al sistema bancario italiano, un intreccio di banche private che ha dimostrato e sta dimostrando a tutto il mondo la sua marcia consistenza.
Il Titanic Italia ormai ha da tempo iniziato ad imbarcare acqua, le sue stive ormai si stanno riempiendo, vana sarà la ricerca per quegli illusi che attendono una scialuppa di salvataggio per se e per la propria vita.
Il nostro paese, un debole organismo ormai morente colpito da una emorragia senza precedenti di posti di lavoro, ha al suo interno un grande cancro purtroppo terminale: il suo stesso sistema bancario, la bomba con la miccia accesa che deve ancora scoppiare, ma che sta facendo vedere solo qualche scintilla.
I titoli dei giornali di ieri non lasciano ormai più nulla alla fantasia: «Fiorani arrestato», «Italia bocciata dalla UE», «Produzione in calo del 0,9 per cento», «Irap: nuova udienza a Bruxelles», «Divario tassi ormai insostenibile».

A chi pensa che questo momento sia solo passeggero, ahimé non mi resta che dargli l'estrema unzione.
Duri e puri si diventa e non si nasce. A tutti quelli che in queste settimane mi hanno chiesto come posizionarsi sul mercato o come ristrutturare i propri risparmi sulla minaccia (ormai sempre più concreta) di un nuovo 1929 mi permetto di elencare qui sotto alcuni dei punti chiave per sperare di uscirne indenni:

- fuga dal dollaro: scappate dagli assets quotati in USD;
- via dai BOT o qualsiasi altro prodotto emesso dal Ministero del Tesoro;
- uscite dai mercati azionari italiani e non (anche se potrebbe esserci ancora qualche mese di rialzo);
- fuga dall'immobile: la bolla è già scoppiata (tranne che per il tetto che avete sulla testa);
- scappate dai corporate bond (specialmente quelli emessi dalle Telecom, Enel, Fiat & Company);
- puntate in prodotti a capitale protetto e rendimento garantito;
- frammentate le vostre disponibilità in più istituti di credito (ma solo quelli di piccole dimensioni);
- liquidità in CHF (franchi svizzeri) e chi se lo può permettere sull'oro fisico;
- state alla larga dalle majors (Capitalia, Unicredito, San Paolo, Intesa) e dai loro promotori;
- non fidatevi dei mass media e delle istituzioni: la festa è finita, e adesso qualcuno dovrà pagare il conto;
- basta con i debiti, cominciate a risparmiare e ad accantonare qualcosa ogni mese;
- prendete in considerazione anche le banche on-line degli altri paesi comunitari;
- chi ha terreni se li tenga stretti: chi se lo può premettere li comperi, specie se agricoli;
- mutui: fatevi erogare solo quelli a tasso fisso per durate superiori a 20 anni;


Termino con questa frase: a vostro modo di vedere, è preferibile spendere qualche centinaio di euro per ristrutturare il proprio patrimonio per renderlo immune il più possibile da eventuali (e molto possibili) scenari monetari e borsistici ribassisti oppure è più conveniente non fare nulla, aspettare che cosa succederà e poi agire di conseguenza ? Prevenire è meglio che curare: il problema è che questa volta potrebbe non esserci né il tempo e né i modi per curare (vedasi la serrata bancaria in Argentina).
A voi, ora, le sorti del vostro destino (finanziario ma non solo): e cercate per una volta tanto di essere simili un po’ ai giapponesi ovvero cercate di trasformare una crisi in un'opportunità. Buoni investimenti e buona sorte a tutti.

EugenioBenetazzo.com
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MessaggioInviato: 20 Dic. 2005, 00:07    Oggetto: Rispondi citando

mi sa che non è un buon periodo per comprarsi casa
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MessaggioInviato: 08 Gen. 2006, 16:55    Oggetto: Rispondi citando

A corollario di quanto detto in "Cronaca":

Crack in vista (e cominciano a dirlo)
Maurizio Blondet
30/12/2005
«Il crack imminente come l’uragano Katrina: non possiamo farci niente, arriverà» (Adam Posen)

Fino a ieri, i giornali finanziari anglo-americani non facevano che esaltare la continua salita delle borse, il «trionfo» e i «successi» del sistema capitalista globale, il «miracolo» della eterna ripresa americana, che si regge nonostante l'astronomico debito pubblico e privato.
Ciò è normale: bisogna attrarre gli ingenui alla giostra della finanza creativa e tenerli legati al Luna Park globale, perché i pescecani possano spolparli ancora un po'.
Solo, da alcune ore, il clima è cambiato.
Ora, non parlano più di «successi» né di «miracolo».
Anzi, il Financial Times ha un allarme esplicito: «chiudere le paratie stagne prima dell'uragano economico» (1).
E questo non è normale.
Vuol dire che l'uragano in arrivo sarà così tremendo, che conviene ormai far passare agli ingenui il messaggio: ve l'avevamo detto.
Non vi abbiamo ingannato.
Se siete rovinati, è colpa vostra: non avete «diversificato».
Probabilmente, il crack mondiale sarà tale, da far temere rivolte di massa.

Un segno sinistro nei giorni scorsi: i frutti dei Buoni del Tesoro americano a scadenza decennale sono scesi sotto i frutti dei BOT USA biennali.
Di solito, sono i BOT decennali a «dover» rendere di più, a compenso del rischio e degli incerti di un prestito a tasso fisso prolungato nel tempo.
Quando accade il contrario, quando sono i tassi dei bond a breve a salire, vuol dire che gli speculatori si aspettano che i tassi d'interesse crollino: ciò che avviene in caso di recessione e, perciò, di bassa inflazione.
A prima vista ciò è impossibile: la Federal Riserve è obbligata a retribuire chi presta all'America con tassi d'interesse crescenti, quanto più cresce il debito USA, a scanso di una rovinosa fuga di capitali dal dollaro.
Ma questa tendenza al rialzo è anche insostenibile, e bisogna che i tassi americani, ora altissimi (5%) prima o poi scendano.
Ecco qui un esempio lampante dei vicoli ciechi, delle contraddizioni impossibili, in cui si è avvolto il capitalismo finanziario terminale.
Quello della finanza sarà, nel 2006, un mondo più fantastico de «Le Cronache di Narnia», rileva sarcastico Frank Partnoy, ex banchiere della Morgan Stanley che s'è messo al sicuro facendo il docente di diritto alla San Diego University (2).

Per esempio, dice, nel 2006 il mercato dei «prodotti derivati» crescerà vorticosamente fino a raggiungere la cifra di mezzo quadrilione di dollari (mille trilioni, una cifra con 14 zeri).
Ciò rappresenta dieci volte il prodotto interno lordo del pianeta.
Ironizza Partnoy: anche ammesso che i fautori della finanza derivata abbiano ragione a dire che i loro fantasiosi «derivati» siano un bene per l'economia, e servano soprattutto ad assicurare contro i rischi finanziari e a disperderli fra masse di clienti (hedging), non si vede perché qualcuno voglia «coprirsi» dal «rischio» rappresentato dal prodotto lordo globale del pianeta più di una volta.
La verità è che questa finanza non ha più alcun rapporto con l'economia reale, ma è una minaccia reale per tutti: perchéquell'enorme flusso di derivati da mezzo quadrilione è, in ultima analisi, un immenso debito, o accumulo di montagne debitorie, per nove decimi inesigibile.
Così, nel 2006, la speculazione globale sintetizzerà una nuova generazione di animali fantastici, chimere e OGM della finanza, per celare ancora per qualche settimana la sua insolvenza colossale. Spunteranno, per offrirli a risparmiatori e pensionati, «fondi d'investimento virtuali»: ossia fondi che non possiedono alcun attivo finanziario, né azioni né obbligazioni, ma usano i derivati
per «simulare» di averli.
Già sono nati in laboratorio due prodotti, i «portable alpha» e le «obbligazioni con collaterale a debito sintetico», che pretendono di replicare le rendite dei Buoni del Tesoro, senza possedere Buoni del Tesoro.
E già sono sul mercato gli «Ecaps», ibridi di azioni e obbligazioni: centauri, ircocervi e chimere inesistenti nel mondo reale, «scatole nere» illusioniste di effetti imprevedibili sui mercati.

Voi magari non li comprerete.
Ma li compreranno in tutto il mondo i fondi d'investimento e soprattutto i fondi pensione, e persino le Banche Centrali.
Istituzioni «tecnicamente in bancarotta», dice Portnoy, che vi fanno credere di essere ancora in grado di pagarvi la pensione, e per reggere l'illusione ancora per un po' acquistano questi cloni e ibridi: ciò che equivale a «fare scommesse a rischio crescente».
Come il giocatore rovinato, che aumenta le puntate alla roulette con denaro preso in prestito, nella illusione di «rifarsi».
Cerca di essere tranquillizzante Adam Posen, analista massimo dell'Institute for International Economics di Washington, paragonando il crack imminente all'uragano Katrina che ha devastato New Orleans: non possiamo farci niente, arriverà; ma almeno possiamo alzare qualche diga per ridurre le perdite umane.
Naturalmente lui, da liberista selvaggio, propone come medicina dosi più alte dei noti veleni.
Gli preme soprattutto tenere aperto il mercato globale del nulla finanziario, ciò che teme è «un grave trauma» prodotto «da un rinnovato protezionismo e da un aggiustamento del dollaro», dove «aggiustamento» è un eufemismo per «crollo».
La bolla immobiliare americana unita ai deficit pubblici produce una situazione «insostenibile», che mette a rischio «l'intero sistema commerciale».

Posen riconosce la «fragilità finanziaria» (la colossale insolvenza mondiale) che è «l'elemento primario per cui collassi limitati (di qualche banca o fondo) possono diventare crisi macroeconomiche» (leggi: crack globale tipo '29).
Basta un rialzo anche piccolo dei tassi di altri Paesi, per far defluire dagli USA di colpo tutti i capitali prestati all'America.
Ciò può portare a «un istantaneo declino degli attivi» (leggi: immobili, azioni e obbligazioni non valgono più nulla per mancanza di compratori) e «perciò del settore finanziario» (bancarotte a catena).
Perciò, consiglia le Banche Centrali di USA, Europa e Giappone di obbligare le banche ad accantonare maggiori riserve.
La Banca Europea dovrebbe premere a fondo sugli «stabilizzatori automatici»: insomma Posen propone una più spietata applicazione del famigerato tetto del 3% del deficit pubblico, misura di per se recessionaria.
Ma il fatto è che i debiti sono già troppi, e i finanzieri consigliano di salvare i loro business, prima delle vite delle popolazioni.
Le Banche Centrali devono salvare gli speculatori, anzitutto, impedendo «eccessivi movimenti dei prezzi verso l'alto o vero il basso»; quanto alla gente comune, basterà approntare «sussidi di disoccupazione sufficienti» in USA e Giappone.
Posen prevede dunque milioni di disoccupati dai primi mesi del 2006.
Prevede selvagge fluttuazioni dei prezzi: o rincari (inflazione) o ribassi eccessivi (deflazione).
Il grave è che non sappia prevedere la direzione dei movimenti.

Non lo sa nessuno.
Una recessione come quella che si aspettano i finanzieri, con milioni di nuovi disoccupati nei Paesi avanzati, provocherebbe mdeflazione, calo dei prezzi.
Ma c'è in giro tanta di quella massa monetaria, con i trilioni di dollari stampati dagli USA per pagare i suoi consumi a forza di carta straccia, che l'effetto probabile sarà l'inflazione. Un'inflazione esplosiva, tipo Germania anni 20, quando un francobollo costava 30 miliardi di marchi.
Potremmo vedere persino uno scenario inaudito di deflazione-inflazione contemporanea: calo (deflazione) dei prezzi immobiliari e rincaro (inflazione) del petrolio.
I poveri esseri umani, messi alla fame da pensioni tagliate e salari scomparsi, e in più senza risparmi (volatilizzati nel crac o, come in USA, da tempo sostituiti dai debiti per il consumo) non avranno più nemmeno il beneficio deflazionistico dei prezzi generalmente calanti.
Un paesaggio economico atroce, mai prima sperimentato.
La fine del capitalismo terminale.
Persino la Banca d'Inghilterra, tempio dell'ortodossia liberista, ritiene opportuno invitare alla prudenza, con parole inaudite: «l'affannosa caccia al profitto finanziario a breve (yeld) può indurre alcuni investitori a sottovalutare il rischio. Le mattuali condizioni possono aver generato un eccessivo ottimismo sul rischio sottostante certi prodotti finanziari».
Fuori di eufemismo: sotto quei prodotti non c'è nulla.

Allegria, allegria, dice il Financial Times: dopotutto, la crisi imminente avrà almeno un vantaggio: toglierà di mezzo i fondi speculativi sui derivati «meno efficienti e che rendono meno».
Distruzione creativa, allegria.
Un accenno fuggevole al problema più preoccupante per lorsignori: l'enorme crescita, nell'ultimo anno, di fusioni e acquisizioni (M&A) «finanziate dal debito».
Queste fusioni sono un bella cosa, le banche d'affari che le preparano, trovando il denaro a credito, ci guadagnano miliardi in commissioni.
Ma il troppo stroppia.
Comprare un'azienda concorrente con denaro preso in prestito prosciuga la cassa e può avere «un impatto deleterio nella diffusione e nella qualità del credito»; lo dice persino Standard & Poors.
Certo, tali debiti sono «coperti» dal valore delle aziende comprate, e che si possono rivendere a pezzi e bocconi.
«Ma non c'è patrimonio meno liquido di un'azienda che nessuno vuol più comprare», come accadrà quando la crisi sarà tra noi.
Insomma: i privati hanno comprato a carissimo prezzo case che varranno molto meno; e i grandi manager hanno strapagato aziende che fra poco varranno nulla.
E gli uni e gli altri, stanno pagando interessi sui debiti contratti per quelle operazioni (3).
Debiti insostenibili, appena i tassi d'interesse saliranno.
Allegria, allegria.

Sta per crollare tutto?
«Non ancora, ma diversificate», consiglia la rivista Bloomberg in un articolo che vuole essere allegro (4).
Cita una newsletter della finanziaria Liman-Gregory che dice, per rassicurare: «attualmente i rischi più grossi coinvolgono scenari di collasso economico assoluto (meltdown scenarios: dunque è vero, sta per crollare tutto), il più pericoloso dei quali è un periodo di prolungata e grave deflazione. Riteniamo questo rischio reale, ma abbastanza remoto da non doverci coprire contro di esso attivamente».
Per ora.
Cosa volete farci, sorride Bloomberg: «questa è la vita dell'investitore nel 21mo secolo, sempre sull'orlo del disastro».
Allegria, allegria.
La vera questione, per chi ha messo quattrini nei fondi d'investimento, «non è se questi rischi esistono, ma cosa fare. Per fortuna, esistono strategie che possono aiutarci».
Quali?
«Diversificare».
Un po' meno azioni e un po' più BOT e attivi monetari.
Anche oro, benché ormai sia caro.

Investire ancora in Cina?
«Economia cresciute troppo rapidamente sono suscettibili di crescenti dolori»: un po' tardi, ma finalmente lo si dice.
Non sembrano consigli particolarmente sagaci.
E non lo sono.
Il fatto è che nessuno sa cosa consigliare, di fronte al ciclone in arrivo.
«Diversificare» ormai, di fronte alla prospettiva di un crack del sistema complessivo, è un consiglio scemo, e persino Bloomberg se ne rende conto: «non esiste una copertura perfetta» da ogni rischio. E ricorda: «a volte, gli investitori più diversificati devono fronteggiare problemi simultanei in molti mercati diversi».
Crack contemporanei su tanti mercati diversi: è l'esatta descrizione del collasso sistemico, del «meltdown», della fusione del nocciolo di una centrale atomica, contro cui non si può far niente se non attendere l'inevitabile innesco della reazione a catena.
Se hanno cominciato a dirlo, vuol dire che sta per accadere.
Anzi che sta già accadendo, e lorsignori si sono messi in qualche modo al riparo; non restano scialuppe di salvataggio per le persone comuni.

Maurizio Blondet

Note
1) Adam Posen, «Batten down the hatches in case the economic storm hits», Financial Times, 28 dicembre 2005.
2) Frank Partnoy, «Investing in fantasy land», Financial Times, 28 dicembre 2005.
3) Può in parte consolare che gli italiani sono meno indebitati degli altri, il che è un bene in tempi di crack sistemico. Solo il 10 % delle famiglie italiane fa debiti per concedersi consumi, contro il 50% dei britannici, il 28 % dei francesi e il 16 % dei tedeschi. L'indebitamento degli italiani è pari «solo» al 40% del loro reddito disponibile (per lo più mutuo per la casa), contro i francesi che sono indebitati per il 62% dei loro redditi, e i tedeschi per il 100%. La «crescita» europea, per quanto asfittica, è tutta a credito. Il «successo» americano, meno asfittico, è dovuto all'indebitamento colossale per consumi; e così il «successo» britannico.
4) «Is the sky falling? Not yet, but diversify», Bloomberg News, ripreso dall'Herald Tribune, 28 dicembre 2005.

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Eh sì, a te non te ne può fregà de meno (forma non italiana e per nulla corretta ma me ne frego altamente), il tuo sistema di raccattare soldi non và mai in disuso
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sephirot ha scritto:
Eh sì, a te non te ne può fregà de meno (forma non italiana e per nulla corretta ma me ne frego altamente), il tuo sistema di raccattare soldi non và mai in disuso


l'economia è noiosa

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MessaggioInviato: 08 Gen. 2006, 21:11    Oggetto: Rispondi citando

mamimi ha scritto:
sephirot ha scritto:
Eh sì, a te non te ne può fregà de meno (forma non italiana e per nulla corretta ma me ne frego altamente), il tuo sistema di raccattare soldi non và mai in disuso


l'economia è noiosa

No, l'economica non è noiosa...è come la politica, o la filosofia per certi versi.

E' SPAVENTOSAMENTE noiosa.
E' MORTALMENTE noiosa.
E' ATROCEMENTE noiosa.

E piuttosto rivoltante. Se non fosse necessario per i miei obiettivi e nelle odierne circostanze per la mia sopravvivenza - e anche vostra benchè sembriate ostinarvi a mostrarvi troppo ottusi per rendervene conto - non ci avrei perso un solo minuto della mia vita.

E' che la vita è proprio un brutto vizio, ti spinge a fare queste ed altre cose assurde. A lavorare perfino, anche se io personalmente lo evito quanto più possibile.

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MessaggioInviato: 10 Gen. 2006, 10:07    Oggetto: Rispondi citando

>>>Off Topic________

ho corretto il titolo del topic
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MessaggioInviato: 04 Apr. 2006, 18:56    Oggetto: Rispondi citando

Akito ha scritto:
...dopo che ero stata a sentire Mandeville a Padova, e non avevo capito molto bene quest'argomento.

Già che mi ci fai pensare, visto che ci sono tanto vale segnalare:

«Duri e puri: aspettando un nuovo 1929 - Come salvare i propri risparmi e sopravvivere ad un mutamento epocale»
Eugenio Benetazzo, pagine 123, 2005




Il libro descrive ed analizza lo scenario macroeconomico nazionale e planetario, avvisando in anticipo di come si possa ripetere tra qualche anno un crash finanziario sui mercati borsistici e monetari simile a quello avvenuto nel 1929 prospettando le nefaste conseguenze che ciò comporterebbe sia sul pubblico risparmiatore italiano sia su qualsiasi forma di ricchezza immobiliare e mobiliare. Poter ricevere informazioni oggettive da un operatore di borsa può consentire a famiglie, risparmiatori ed aziende di compiere le opportune scelte d'investimento o reinvestimento per salvare i loro risparmi ed il loro stesso tenore di viota. Vengono altresì analizzati conflitti d'interesse, prodotti e forme d'investimento classico presenti nel panorama italiano che porteranno nei prossimi anni ad alti crack finanziari.

Costo: 10,00 €
http://www.disinformazione.it/libreria/banche.htm


E' sintetico (inquadra perfettamente la situazione) ed esaustivo e facile da comprendere e non tira in ballo teorie più o meno visionare o altri retroscenza come Mandeville, è centrato sulla questione pratica.

Scritto praticamente due anni fa è anche possibile verificare come i fatti stiano dando ragione all'autore (o a chiunque sia dotato di un cervello funzionante e sufficiente buonsenso da prestare attenzione a ciò che gli succede intorno e indagare quando è chiaro che son cazzi), ad esempio:


Crack GM. Crollano le bugie statunitensi
http://etleboro.blogspot.com/2006/04/crak-gm-crollano-le-bugie-statunitensi.html

La General Motors è alle corde. Di fatto fallita. Il crack, che potrebbe essere clamorosamente dichiarato ufficialmente la prossima settimana, vede crollare una delle più grosse aziende americane.

Un ulteriore sintomo del fatto che la vanagloria e la tracotanza degli Usa si stanno sgretolando. Il gigante con i piedi d’argilla sta cominciando a far vedere le grosse crepe delle sue fondamenta. E chi è a tirar fuori la notizia, con un sorriso patinato, tra un gossip e l’altro? La Cnn. Il che vuol dire che la maschera di potenza messa su dagli statunitensi sta davvero sbriciolandosi, come fango secco al sole: è il malato stesso a far vedere quali orribili piaghe gli stia procurando la lebbra che lo corrompe dall’interno. Ormai anche loro si sono resi conto della realtà e non inventano più per i tg favole in cui sono tutti felici e contenti. Certo la Cnn ha minimizzato, dicendo che il problema era che non si pagavano più gli stipendi, non ha chiaramente detto del fallimento di Gm, ma ha fatto allusione ad altri problemi.

Quali problemi? Non sono cose nate negli ultimi tempi. Per il 2005 Gm ha avuto una perdita netta di diversi miliardi di dollari. A seconda delle fonti, si arriva a cifre che oscillano tra i 6 e gli 8 miliardi di dollari. Le azioni negli ultimi 12 mesi hanno perso un terzo del loro valore. Il maggior fornitore di componenti, la Delfi , è anch’essa ai piedi di Pilato. E ci sono i sindacati con i coltelli puntati alla gola di questo gigante morente. Vogliono la corresponsione degli stipendi arretrati. Soldi che i dipendenti, però, possono tranquillamente dimenticare. Perché quando muore un’azienda, i primi a restare fregati sono i poveri operai che hanno obbedito per mesi alla voce del padrone. Gli analisti di Gm dicono che tutto andrà meglio. Passate le due settimane peggiori, lunedì andrà tutto meglio.

E di lunedì in lunedì, gli operai aspettano che sorga di nuovo il sole sulle loro speranze appassite d’esser pagati e di aver un futuro sicuro. E se hanno fame mangiano aria fritta. Le loro necessità quotidiane, le loro urgenze di persone reali sono dati che poco interessano ai corrotti che gestiscono i numeri dell’alta finanza. Il mercato della casa di Detroit è anch’esso in calo.

Da Gm, in un ultimo guizzo che sembra quello di un nuotatore ad un passo dall’annegamento, fanno sapere che vanno bene le vendite dei Suv. Ma basteranno i fuoristrada ibridi a salvare la General Motors , a tirarla fuori dalla tomba? Proprio no. L’ultima ciambella, l’ultima scialuppa di salvataggio per permettere a pochi fortunati di scappare (dalle stanze con i pulsanti, mica dalle catene di montaggio) con qualcosa di concreto da questo naufragio sembra essere la vendita di una società satellite di Gm, la GMAC.

Resta da vedere se riusciranno a vendere questo agnello morente. Intanto i più previdenti organizzano un bel funerale in grande stile: in tanti si preparano ad indossare per la cerimonia funebre un bel pastrano, molto largo. In modo che non si vedano la ciambella ed il canotto preparati per non finire a picco dietro alla casa motoristica di Detroit, uno dei pilastri dell’economia, duramente scossa dalla sua caduta. Come dire: sei morto, ti uso come salvagente per arrivare a riva e non annegare anche io in questo mare di squali

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I miei investimenti:
Walther P99 .40
Sig Sauer P2340 .40



Ecco come ci si salvaguarda dagli incerti economici.

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MessaggioInviato: 24 Apr. 2006, 11:11    Oggetto: Rispondi citando

EUROPA: SIMULACRO DEL COLLASSO FINANZIARIO
Economia DI ALFREDO JALIFE RAHME

LE AUTORITÀ FINANZIARIE europee temono di non poter far fronte al contagio dei mercati e hanno pertanto organizzato a Vienna una “pratica di giochi di guerra†che “simula una crisi finanziaria in tutto il continenteâ€, secondo quanto rivelato da George Parker (GP) del The Financial Times (9/4/06).

LA PRATICA DEL “gioco di guerraâ€, è risaputo, “ha simulato il collasso di una megabanca con operazioni in diversi grandi paesi, al fine di valutare se la Banca Centrale Europea (BCE), le banche centrali nazionali e i ministri delle finanze sarebbero stati in grado di lavorare congiuntamente per contenere la crisi."


HA MOLTO SENSO, dal punto di vista della prevenzione, che le autorità finanziarie europee si preoccupino dell’effetto Islanda (cfr. Bajo la Lupa, 1/3/06) e del crollo delle borse arabe della OPEP [organizzazione dei paesi esportatori di petrolio], che hanno colpito la periferia delle borse dell’anglosfera e stanno scalzando la periferia europea (Ungheria e Polonia, creando squilibri in Spagna e Portogallo. Cfr. Bajo la Lupa, 4/4/06), quando serpeggia l’ingovernabilità in Francia e in Italia.

COLORO CHE HANNO PARTECIPATO alla simulazione nella sede della BCE di Francoforte, alla vigilia del conclave finanziario dei paesi europei a Vienna, hanno confermato che si è discussa la “pratica della gestione delle crisiâ€. Uno degli assistenti, che ha mantenuto segreta la propria identità (a meno che non si tratti di un’invenzione di GP), ha dichiarato che è stato come se si trattasse di “verificare la sopravvivenza (sic) di un impianto nucleare in conseguenza allo schianto di un aereoâ€. Che bel paragone! Non sono stati specificati né le dimensioni dell’aereo schiantato, né quelle dell’impianto nucleare.

L’OBIETTIVO PRINCIPALE è stato quello di “provare la capacità di condividere informazioni durante una crisi†per poter “superare le differenze culturaliâ€, e i risultati saranno riferiti al consiglio dell’ECOFIN di giugno [Il Consiglio Ecofin (“Economia e Finanzaâ€) riunisce i Ministri dell’Economia e delle Finanze degli Stati membri]. GP indica che la “vulnerabilità dell’Europa di fronte a una crisi transnazionale è stata rivelata in un rapporto riservato del consiglio dell’ECOFIN e la preoccupazione maggiore riguarda i “rischi di stabilità (sic) finanziaria comportati dalla crescita dei derivati creditizi e degli hedge fund [fondi ad elevato rischio]â€; gli ominosi “fondi di copertura (sic) del rischioâ€, tanto contestati in Bajo la Lupa.

IL MERCATO SPECULATIVO dei derivati creditizi è cresciuto nello scorso anno del 128 per cento e GP arguisce che il valore “nominale†è di quasi quindicimila miliardi, cifra che consideriamo sia in realtà 25 volte più grande, e di cui un terzo verrebbe accaparrato dalla banca americana.

IL RAPPORTO RISERVATO sostiene che nella “maggior parte dei paesi membri il progresso è stato insufficiente†(sic) e si indicano come cause un “possibile crollo dei beni immobili, la pandemia dell’influenza aviaria e il costo elevato del petrolio come potenziali fonti di rischioâ€, continuano comunque a insistere sulla “solidità†(sic) del settore bancario.

AVVERTE ALTRESÌ che la situazione dei derivati creditizi e degli hedge fund costituisce una fonte di preoccupazione a causa della “opacità†(sic) della loro gestione, con i conseguenti rischi sistemici, allarme che ai lettori di Bajo la Lupa deve ormai essere venuto a noia.

FONTI EUROPEE IDENTIFICANO tre detonatori:
1) la crescente crisi nei “mercati emergentiâ€;
2) la bolla di dei beni immobili,
e 3) i derivati creditizi.
O meglio: i tre elementi sono legati da una retroazione reciproca.

IN MESSICO, le esilaranti quanto deliranti “autorità†finanziarie (e non parliamo di Fox e del suo delfino, il castañedista-salinista Calderón, che non vedono al di là del proprio naso) assicurano che il paese è blindato e hanno ragione: hanno blindato il vuoto, perché all’interno della protezione le loro finanze e la loro economia sono più vuote che mai, a somiglianza delle loro “ideeâ€.

QUALI NUOVE ACROBAZIE si inventeranno gli ultramontani neoliberali del “Messico†per non essere raggiunti dal probabile crollo della borsa del cono sud, come ha avvertito Bill Rhodes, vicepresidente dell’Istituto Finanziario Internazionale (Financial Times, 5/4/06)?

SONO IN POSSESSO DEL DATO riservato che Claudio X. González, dirigente dell’impresa texana Kimberly Clark Corp (KCC), uno degli operatori plutocrati di Salinas, ha partecipato allegramente alla recente fuga di capitali di quattro miliardi e mezzo di dollari che è costata lo scherzetto di Fox-Salinas-Calderón di paragonare Chávez a AMLO [Andrés Manuel López Obrador, sindaco progressista di Città del Messico]. Se non è vero, chiediamo una smentita da parte di X. González.

FORSE LA KCC possiede un’associazione di scambio in Texas attraverso X. González, simile a quella che si presume esista in alcune società messicane tra la dinastia Bush e il suo burattino Salinas? Greenpeace, noto gruppo ambientalista, ha accusato la KCC di essere uno dei peggiori depredatori del pianeta. Come Roberto Hernández Ramírez, ex venditore di arance tuxpeño e abiti di pessima qualità (Robert’s), fatto ascendere da Salina al titolo di “imprenditore globale†(che include le merci scaricate a Isla Pájaros), non bisogna stupirsi del fatto che il salinista X. González pretenda demolire il Messico pur di impedire che AMLO arrivi alla Presidenza.

GLI AVVERTIMENTI dei sacerdoti della globalizzazione finanziaria feudale deregolamentata sono più generosi che mai: il 5 aprile Timothy Geithner (TG), fiammante presidente della Riserva Federale di New York, ha lanciato un allarme all’Associazione dei banchieri di New York sul rischio crescente di uno scoppio del sistema (sic) finanziario.

È LA TERZA volta, dall’inizio del primo trimestre dell’anno, che TG mette in guardia contro il “moltiplicatore†(leverage) dei derivati creditizi e degli hedge fund che “possiedono la potenzialità di aumentare lo stressâ€, che hanno reso “molto vulnerabile†il sistema finanziario globale: lo aveva già sostenuto l’11 gennaio innanzi alla Association of Business Economists (sic) di New York e il 28 febbraio innanzi alla Global Association of Risk Professionals - GARP (sic).

Persino Rodrigo de Rato, geneticamente fascista, e ora direttore dell’agonizzante FMI, ha ripetuto ciò che è ben noto riguardo agli “squilibri globali†presso il Centro per gli Studi Europei di Harvard lo scorso 4 aprile, e non ha perso l’occasione per attribuire all’aumento del costo del petrolio (e non al gioco speculativo degli ominosi hedge fund da parte del G-7) la colpa della “recessione globale†e dell’aumento dei tassi d’interesse†(in Messico, un esagerato Calderón ha promesso in modo psicotico di ridurre i tassi dal 3 luglio).

PRIMA DI GETTARE la spugna del pensionamento estemporaneo, lo sventurato Alan Greenspan, già governatore della Riserva Federale per 19 anni (una vera e propria tirannia finanziaria) aveva confessato al suo omologo francese che il “sistema finanziario era fuori controlloâ€. Ecco perché non è gratuito il fatto che i due binomi oro-argento e petrolio-gas, siano arrivati alle stelle, come si era già sostenuto in Bajo la Lupa.

IL BINOMIO ORO-ARGENTO è quotato ai livelli più alti degli ultimi venticinque anni, e questo fatto non solo sta cancellando di colpo le mostruose creazioni di Greenspan di tutta una generazione cronologica, ma fa soprattutto trasparire il nuovo paradigma di un sistema finanziario internazionale incipiente che sta mettendo radici, nonostante tutte le costrizioni delle banche centrali del G-7, che remano contro la corrente della storia che li sta già trascinando verso la loro vera destinazione: la discarica delle immondizie.

I SUCCESSIVI 80 giorni saranno decisivi, quando crescerà la probabilità di uno scoppio finanziario globale che le irresponsabili banche centrali e i loro perniciosi ministri delle finanze del G-7 (con la loro escrescenza, il gruppo dei creditori del G-20) hanno preteso occultare a forza di giochi di specchietti e fumogeni.

LE BANCHE CENTRALI del G-7 preferiscono una crisi finanziaria globale piuttosto che il sacrificio del modello capitalista. La gestazione della molteplici bolle greenspaniane ha portato a una megabolla teratologica che è meglio far scoppiare prima che annienti tutti i suoi giocatori. Non è cosa da poco: stiamo parlando dello scoppio del sistema di “fluttuazione†imposto unilateralmente da Nixon nel 1971, che si aggiunse alla globalizzazione finanziaria feudale deregolamentata del 1991.

VEDIAMO UN PO’ come si riprenderà il sistema capitalista dall’orgia speculativa che ha messo a rischio la sua stessa esistenza e la sopravvivenza del genere umano. Quella che muore è una spumeggiante “era finanziaria†di 35 anni.

Fonti: La Jornada e http://www.rebelion.org/noticia.php?id=29842
16/04/06

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MessaggioInviato: 23 Mag. 2006, 13:28    Oggetto: Rispondi citando

L’economia di Paperino
di Eugenio Benetazzo, autore di “Duri e Puri: aspettando un nuovo 1929â€


Tanto per cominciare possiamo tirare tutti un grande sospiro di sollievo, il futuro non è più così buio e preoccupante come avevo disegnato un tempo, ora possiamo stare tutti più tranquilli e sereni, e finalmente vivere con meno apprensione. L’Italia in meno di 48 ore ha improvvisamente cambiato il suo outlook ed il suo rating su scala planetaria, disattendendo tutte le voci che la devono ormai come un cavallo morente (a detta dell’OCSE): le antiche pendenze debitorie si sono miracolosamente ridimensionate, la competitività è letteralmente esplosa in meno di due giorni, il PIL ha ripreso a crescere e soprattutto siamo passati dall’immagine di un paese in declino industriale ad un paese in pieno sviluppo che alita sul collo al dragone rosso ( la Cina ).
I problemi non esistono più, erano solo congetture errate del passato, visioni esagerate e mal ponderate: l’Italia e le sue giovani generazioni hanno adesso un futuro strepitoso, radioso e brillante sia in termini di opportunità che di benessere di vita.

Meno male. Temevo di essermi preoccupato esageratamente per il mio futuro imprenditoriale e previdenziale, però ora mi sento più rilassato e pronto a pensare (siero)positivamente a qualcosa di più importante: ad esempio stravaccato in mutande sul mio divano mi aspetta il più grande spettacolo del mondo, il prossimo campionato mondiale di calcio.
E chi se ne frega, se il giocattolo "strippa cervelli" si è recentemente rotto in Italia, frantumandosi contro le aste delle porte (dei tribunali), tanto i giornali mi hanno fatto tirare un altro sospiro di sollievo: non è il calcio ad essere marcio è il Sistema Moggi che ha inquinato e tagliato male la droga del popolo come un vile pusher.

Meno male, per un momento mi era passato per la testa che il Sistema Moggi fosse un ulteriore sfaccettatura del Sistema Paperopoli Italia, solo adesso infatti mi rendo conto, grazie alla rassicurazione dei media, che il modo di gestire i risultati di partite di calcio, assegnazioni arbitrali, ingaggi e trasferimenti sportivi non ha nulla a che fare con gli scandali finanziari che hanno colpito il popolo risparmiatore italiano attraverso i bilanci falsi di aziende quotate, nomine comprate di amministratori manipolati, emissioni di prestiti obbligazionari inesistenti e la compiacenza degli organi di controllo e vigilanza. Come posso pensare di mettere sullo stesso piano Macchia Nera Carraro con Gambadilegno Fazio, cerchiamo di essere garantisti e soprattutto realistici, il problema l’ha creato solo Lucky Luciano con la sua Banda Bassotti.

Smettiamola quindi con tutte queste preoccupazioni inutili e questi esagerati allarmismi, nominiamo Qui Quo e Qua alla carica di Governatori Aggiunti di Bankitalia e soprattutto non dimentichiamoci di Zio Paperone alla guida del Ministero del Tesoro. Volendo ci sarebbe anche Nonna Papera al Ministero della Pubblica Istruzione.
Iniziamo a sorridere finalmente, il paese è in pieno fervore a cominciare anche dal settore turistico grazie a Renato Rockerduck Soru che si è impegnato a rilanciare il turismo in Sardegna come nessun’altro aveva mai fatto prima, introducendo una supermegatassazionesalasso sulle seconde case. Per decenni la Sardegna non ha mai visto denaro da questi vacanzieri nababbi non residenti adesso finalmente il rilancio del turismo la farà da padrone. Che strano però, anche gli azionisti del fondatore di Tiscali (Rockerduck Soru) non hanno mai visto denaro da quella sua straordinaria azienda che doveva lanciare la new economy in tutta Europa. Ma non fasciamoci la testa, sarà certamente una manovra straordinaria di indiscutibile beneficio che darà visibilità (siero)positiva alla Sardegna e soprattutto spingerà ad investire ancor di più in quella meravigliosa isola che senza le ville, gli yacht, le feste ed il denaro dei nababbi sarebbe rimasta una terra di pecorai e minatori. Capito mi hai.

Basta preoccupazioni pertanto, basta pensieri, basta problemi inesistenti frutto di allucinazioni da fantafinanza: adesso è il momento di ritornare a vivere alla grande, perciò compriamoci tutti un Cayenne a rate con tassi del 25 per cento grazie alle strepitose offerte delle finanziarie di consumo di Paperopoli Italia, carichiamoci una strappona dalla strada (magari pure transex che fa più immagine ed è più cool), ed a quel punto vai con la samba ed i ritmi latini: ogni sera al ristorante da 70 euro, ogni settimana in palestra a rate, ogni mese con il Nokia ultimo modello preso in leasing, ed ogni due mesi con i jeans della Kerosene da 300 euro.
Mannaggia che sbadato, mi stavo dimenticando della vacanza a rate due volte all’anno nel Mar Rosso: e che diavolo, me la meriterò una vacanza principesca (anche se sono un precario morto di fame) per festeggiare il ritorno alla competività del nostro paese. Erano anni che non ero così felice al mattino, il sapere che da oggi in poi per l’Italia sarà tutto in discesa mi fa venire voglia di tatuarmi la faccia di Costantino sulla spalla destra, così la prossima estate in spiaggia mi posso permettere di fare pure io lo sventrapapere con le straniere.

Basta con futili preoccupazioni! Adesso è il momento di riscattare tutti gli anni passati a tirare la cinghia sino alla terza settimana, adesso posso (visto soprattutto che si rialzeranno i tassi) indebitarmi oltre il 150 per cento: tanto che me frega, l’economia è ripartita, il bianconiglio ci ha detto che la prosperità ed il benessere presto saranno di nuovo comuni come una volta. Sono talmente gasato che mo’ esco e me ne vado con un rotolo di carta igienica al Banco delle Giovani Marmotte a richiedere un mutuo al 95 % per comprarmi un attico in Piazza San Babila. Certo dovrei portarmi almeno la tazza del water come mi consiglia la pubblicità, ma se mostro loro il gagliardetto di Lupetto Frocetto, oltre alla raccolta delle Figurine Panini con tutti i goleador preferiti di Lucky Luciano, sono certo che non faranno fatica ad affidarmi per importi cinquanta volte più grandi la mia effettiva capacità di remissione.

Eugenio Benetazzo

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MessaggioInviato: 09 Lug. 2006, 14:33    Oggetto: Rispondi citando

IL PETROLIO E LA LOGICA DEL MERCATO
Petrolio - Uno sguardo dal picco

Arriva da Reuters una notizia che richiede un certo lavoro di interpretazione. A firma di Peg Mackey e Janet McBride, si intitola "I tagli dei Sauditi mostrano che il petrolio a prezzi record sfida la logica del mercato". Si domandano le autrici come sia possibile che, con i prezzi del petrolio così alti, i Sauditi abbiano "osato" (testualmente) ridurre la produzione. L'Arabia ha prodotto, in maggio, solo un briciolo in più di 9 milioni di barili al giorno, nettamente meno dei circa 9,5 milioni che erano la regola fino a pochi mesi fa e ben di meno della capacità dichiarata del Paese, 11,3 milioni di barili al giorno.

Le signore Mackey e McBride si arrovellano per spiegare la ragione di una situazione apparentemente assurda. All'ultima riunione OPEC di Caracas il 1 giugno, non è stata imposta nessuna quota di produzione ai membri dell'organizzazione.

Il mercato del petrolio è ai massimi storici e a scuola di economia si impara che i prezzi alti hanno l'effetto di fare aumentare la produzione. Eppure i Sauditi hanno osato ridurla. Come è possibile? Seguono nell'articolo alcune spiegazioni estremamente contorte e varie dichiarazioni - altrettanto contorte - dei vari sceicchi del petrolio. Leggiamo, per esempio, che un delegato di OPEC ha detto che "la ragione per la riduzione è semplice. La gente non sta chiedendo petrolio".

Affermazione quantomeno curiosa, dato che "la gente" è disposta a pagarlo più di 70 dollari al barile. Non fa capolino nel testo (e forse anche nella testa) delle gentili autrici del pezzo di Reuters, che i Sauditi non aumentano la produzione perché non possono aumentarla.

Anzi, che non riescono nemmeno a tenerla costante. Internet è da tempo pieno di speculazioni sulla situazione petrolifera saudita, con molti esperti che affermano che la capacità produttiva dei pozzi principali è al limite e che nonostante tutti gli sforzi, si prospettava un declino in tempi brevi. Matthew Simmons, noto esperto nel campo, ha scritto un libro molto dettagliato sull'argomento, intitolato "Crepuscolo nel deserto" (Twilight in the desert) sostenendo esattamente questo.

Sembrerebbe che questi esperti avessero ragione e che, invece, avessero torto marcio i vari buontemponi che hanno sostenuto (e alcuni continuano a sostenerlo) che l'Arabia Saudita potrebbe facilmente raddoppiare la produzione se solo decidesse di farlo. In breve: sembrerebbe che i Sauditi abbiano passato il loro picco di produzione. Da ora in poi la loro produzione potrebbe declinare inesorabilmente.

Si ripete, sembra, la situazione che si verificò negli Stati Uniti nel 1970-'71. Il picco locale di produzione del petrolio fu segnalato prima dalla decisione dell'agenzia che regolava le quote di produzione nel Texas, la Texas Railroad Commission, di dare il via libera alla produzione. Poco dopo, la produzione del Texas iniziava il suo declino, portandosi dietro il resto degli Stati Uniti.
Il declino fu irreversibile e non fu compensato nemmeno dall'ingresso dell'Alaska sul mercato. Oggi, nel panorama mondiale, l'Arabia Saudita gioca il ruolo di massimo produttore che giocava il Texas negli Stati Uniti. Il declino della produzione saudita si porterà dietro necessariamente il declino della produzione mondiale.

Il "picco Hubbert" inizio del declino globale, era ampiamente previsto da molti esperti per varie date entro il primo decennio del ventunesimo secolo. Per ora, nulla è ancora completamente certo, ma notizie che arrivano da varie fonti indicano che ci stiamo passando sopra. Prima o poi, dovremo abituarci al mondo del "dopo picco", può darsi che dobbiamo iniziare già da adesso.

Ugo Bardi
Fonte: http://petrolio.blogosfere.it/
Link: http://petrolio.blogosfere.it/2006/07/il_petrolio_e_l.html
05.07.2006

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